Cambiare i giovani? No, sono gli adulti che vanno rieducati

Avvenire del 16/09/2016


Pubblicato il 16/09/2016

Educare gli adolescenti? «Non vorrei più sentirne parlare». È forte la provocazione dello psichiatra Tonino Cantelmi, professore di cyber-psicologia all’Università Europea di Roma e presidente dell’associazione Psichiatri e psicologi cattolici (Aippc).
«La verità è che per cambiare gli adolescenti c’è più che mai bisogno di adulti. E gli adulti non ci sono: sbiaditi, insensati, inconsapevoli».
 


Professore, è un giudizio durissimo.
Lo so. E però serve, ora più che mai, il coraggio di dire le cose come stanno. I fatti di Napoli e di Rimini sono agghiaccianti, ma ci dicono cose che sappiamo bene ormai.

Quali?
Primo, che abbiamo ragazzi erotizzati precocemente. Li nutriamo di immagini e di un vocabolario sessualizzati, tra i 6 e i 7 anni sono già immersi nella dimensione della sessualità e – come ovvio – a quell’età non possono che essere vittime del più drammatico dei cortocircuiti: quello che confonde l’intimità, cioè la sfera dei sentimenti, con il sesso.

E poi?
E poi vengono anche digitalizzati precocemente. Ecco che, sempre tra i 6 e i 7 anni, a volte anche molto prima, gli mettiamo in mano le tecnologie: le usano alla perfezione, passano il tempo davanti allo schermo. E attraverso lo schermo imparano la tecnomediazione delle relazioni, in cui l’empatia e le emozioni dell’altro scompaiono. Risultato: a una dimensione distorta della sessualità si aggiunge quella distorta della percezione dell’altro, che porta all’aggressività. Prime vittime, le donne: che in questo percorso finiscono col non maturare alcuna cognizione del valore del proprio corpo.

Sono gli ingredienti delle vicende di questi giorni...
Vicende che però sono solo la punta dell’iceberg. I numeri parlano chiaro: oggi circa il 20% dei bambini – si badi bene, non degli adolescenti – ha già bisogno di un aiuto professionale in termini di salute mentale. Siamo di fronte a un’enorme sofferenza del mondo dell’infanzia e questo dipende da un mondo di adulti che hanno smesso di narrare esperienze dotate di cornici di senso ai propri figli. I genitori di alcuni dei miei pazienti ogni tanto mi chiedono perché i figli cercano tutto su Google. Perché mancano le risposte altrove, perché gli adulti sono i primi a perdersi nella costruzione del proprio profilo social.

Ripartire dagli adulti, dunque.
Per avere adulti in grado di educare i giovani con l’esempio e il significato della propria vita, non con il controllo del cellulare e dei gruppi Whatsapp. Lì non arriveremo mai, o arriveremo sempre troppo tardi.
 

Fonte: Avvenire