Dare un nome al dolore

Novità editoriale 2014


Pubblicato il 10/10/2014

Dare un nome alle cose è il punto di partenza. Nei primi capitoli della Genesi, Dio, dopo aver creato l’uomo e gli animali, li presenta all’uomo affinché lui gli dia un nome. Dare un nome alle cose, agli animali, alle persone è evidentemente fondamentale. Perché? Perché è il primo passo verso l’identità individuale.

Dare un nome al dolore, allora, assume un significato maggiore: individua il problema. Se parlare dell’aborto di un figlio è difficile, è ancora più difficile riconoscere che per questa ragione stiamo vivendo un malessere. Lo stress post-aborto è reale anche se difficilmente individuabile: senso di vuoto, tristezza profonda, bassa autostima, incapacità di portare a termine le azioni, difficoltà relazionali, chiusura in se stessi. Cominciare a riconoscersi, a vedere che c’è un problema, a dargli il nome giusto, è il passo necessario verso la guarigione.


Benedetta Foà, psicologa clinica, counselour con la Procedura Immaginativa. Scrittrice e conferenziera, è autrice di diverse pubblicazioni sul tema dell’elaborazione del lutto post-aborto; è anche co-autrice, con Tonino Cantelmi e Cristina Cacace, del libro Maternità interrotte. Le conseguenze psichiche dell’IVG (San Paolo 2011).

Dalla prefazione a cura di Tonino Cantelmi


Scrivere la prefazione ad un libro coraggioso come questo è un vero onore. Coraggioso perché il tema è ancora un tabù in Italia (ma solo in Italia!). Benedetta Foà si interessa di una di quelle sofferenze non ascoltate perché politicamente scorrette. Mi unisco al suo coraggio e procedo. In questa prefazione vorrei porre tre domande per una questione davvero fondamentale. E tre risposte. Eccole. La prima domanda è questa: l’interruzione volontaria della gravidanza, comunque attuata, è un fattore di rischio per la salute mentale della donna? La seconda domanda: quale è il meccanismo psicopatologico e l’espressività fenomenologica prevalente del disagio psichico correlato all’interruzione volontaria della gravidanza? E infine la terza domanda: è possibile aiutare le donne che presentano un disagio psichico IVG-correlato?


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Dall’introduzione


Questo libro nasce dal desiderio di aiutare la donna: la donna in quanto essere umano, in quanto persona dotata di caratteristiche peculiari e fragilità specifiche, ma soprattutto in quanto madre in potenza. In particolare, questo libro nasce dopo alcuni anni di counseling con tante donne e mamme che, dopo avere abortito (spontaneamente o volontariamente) il proprio figlio, sono state male fisicamente e psicologicamente. Attraverso l’accoglienza, l’ascolto empatico, l’astensione dal giudizio e la condivisione del dolore abbiamo percorso insieme un tratto del viaggio della vita con uno scopo preciso: uscire dal nero tunnel della depressione causata da un lutto irrisolto. Mamme di etnie e religioni diverse si sono sedute nel mio studio e mi hanno aperto il loro cuore: un cuore spesso tradito dalle persone a loro più care, un cuore sofferente, un cuore stanco di non essere accolto e ascoltato da nessuno. Per aiutare le madri e i padri a fare un passo avanti rispetto alla posizione d’immobilità data dal lutto, ho elaborato un procedimento che ho definito metodo “Centrato sul bambino”.

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SOMMARIO DEL VOLUME