La responsabilità nell'opera educativa

Fonte: Don Orione Oggi ottobre 2009


Pubblicato il 18/11/2009

A cura di GIORGIO GIBERTINI Intervista a Tonino Cantelmi, Presidente dell'Associazione Italiana Psichiatri e Psicologi Cattolici (AIPPC) 1. Perche I'AIPPC ha voluto aggiungere l’aggettivo cattolici? Non basta chiamarsi psicologi?

Per circa un secolo la psicologia e la psichiatria hanno considerato il "fenomeno religioso" nei casi migliori un oggetto di studio e nei casi peggiori fonte di psicopatologia o esperienza psicopatologica tout court. Quando 10 anni fa ho fondato, insieme ad alcuni colleghi, I'AIPPC ho scoperto che centinaia di professionisti della salute mentale vivevano una fede autentica anche se clandestina negli ambiti professionali. Oggi sappiamo che il confronto con l'antropologia cristiana e un confronto benefico per la psicologia e la psichiatria: in tutta Europa sono nate Associazioni simili alla nostra e a Roma abbiamo tenuto il primo convegno internazionale delle Associazioni di psicologi e psichiatri di ispirazione cristiana. Nel Giubileo del 2000 l'AIPPC fu scelta come esempio di diaconia per il mondo. Oggi combattiamo una grande sfida: chiediamo che in psicoterapia i valori religiosi dei pazienti credenti e delle loro famiglie non vengano irrisi, sottovalutati o addirittura patologgizzati . Per questo stiamo lavorando con gli Ordini professionali perchè nessun paziente credente venga discriminato in psicoterapia.

2. Quale è il male, il disagio, la sofferenza maggiore dei giovani di oggi?

II problema non e nei giovani, ma negli adulti, che hanno rinunciato ad educare i ragazzi. I genitori della generazione-di-mezzo, quella che ha preceduto la generazione dei "nativi digitali", sono adulti che amano i loro figli, ma che non sono capaci di educarli, cioè di trasmettere un assetto valoriale e di contenerli emotivamente. Inoltre sano adulti che non parlano lo stesso linguaggio dei nativi digitali, che a volte scimmiottano i loro figli (per esempio scrivono sms con lo stesso dialetto digitale degli adolescenti a vivono facebook come un ragazzino) e soprattutto sono assenti, troppo presi dai loro bisogni di affermazione. Cosicché i bambini e gli adolescenti di oggi costruiscono comunità giovanili tecnoreferenziate e non si rapportano a modelli adulti. Insomma gli adulti di oggi o non ci sono oppure sono molto deludenti o infine anziché proporsi come modelli si rifanno ai modelli adolescenziali e persino infantili dei loro stessi figli. In questa condizione i bambini e gli adolescenti sono esposti ad ogni tipo di eccesso. In nessuna epoca I'abuso delle sostanze stupefacenti a degli alcolici è stato così precoce e così diffuso fra i giovanissimi.

3. La famiglia, pur essendo oggi molto fragile, come può rimanere al centro dell'educazione dei figli, dei giovani?

Occorre educare i genitori alla genitorialità. Questa è la nuova sfida. E inoltre occorre che le famiglie sostengano le famiglie: è necessario incrementare la solidarietà fra famiglie. Genitori competenti e famiglie solidali possono restituire alla famiglia il suo ruolo centrale.

4. Quale è un suo commento personale alla lettera del Papa alla Diocesi di Roma sul compito dell’ educazione? (21 gennaio 2009)

Benedetto XVI lancia una sfida epocale: che gli adulti tornino ad educare e non abbiano paura di trasmettere i propri valori. Abbiamo bisogno di genitori e di educatori che siano non solo affettuosi e benevoli, ma anche coraggiosi, che si assumano la responsabilità dell'educazione. Altrimenti assisteremo ad una progressiva adolescentizzazione della società.

 

5. Quale è oggi il ruolo educativo dei movimenti e dei cammini ecdesiali?

Vedo il loro ruolo educativo soprattutto nell'educare alla relazionalità. È necessario superare il fascino perverso dei legami liquidi (cioè istantanei, emotivi, basati sui qui ed ora e privi di progettualità e di storia), delle amicizie alla facebook e delle relazioni disimpegnate. Relazionarsi con qualcuno significa assumersi delle responsabilità, costruire trame solidali, recuperare dimensioni progettuali, impegnarsi nella storia.