Parola di scienziati: la religiosità fa bene al cervello.

Fonte: Avvenire - Gli editoriali - 27 gennaio 2010


Pubblicato il 27/01/2010

Gli editoriali di Avvenire.

Di Tonino Cantelmi

Parola di scienziati: la religiosità fa bene al cervello.

Dobbiamo dunque dire addio alle teorie freudiane e a tutte le successive ipotesi che hanno collegato il fenomeno religioso e il desiderio di spiritualità alla psicopatologia, alla nevrosi e comunque ad un presunto “cattivo funzionamento” mentale? Sembrerebbe proprio di sì, a giudicare da quanto emerge da uno studio dei ricercatori Agostino GIRARDI e Alessandra COIN della Clinica Geriatrica dell'Università di Padova, diretta dal professor Enzo Manzato, e pubblicato sulla prestigiosa rivista "Current Alzheimer Research". Senza entrare nei dettagli dello studio, il risultato potrebbe apparire sorprendente: la religiosità, intesa come attitudine alla religione o spiritualità, rallenta la progressione della demenza di Alzheimer, malattia, come è noto, implacabile e sostanzialmente incurabile, caratterizzata dalla progressiva e inarrestabile morte dei neuroni cerebrali. Date le caratteristiche della malattia, questo risultato non può essere spiegato come un effetto placebo, ma deve essere inteso come un fenomeno correlato con aspetti neurobiologici. Infatti i malati di Alzheimer appartenenti al gruppo con basso livello di religiosità hanno avuto nel corso dei 12 mesi una perdita delle capacità cognitive del 10%  in più rispetto a quelli con un livello di religiosità medio-alto. Questo studio conferma analoghe ricerche: già nel 1988 Koenig aveva dimostrato un effetto protettivo della religiosità rispetto alla demenza. Secondo i ricercatori italiani, comunque, sembra essere proprio la “religiosità interiore” il fattore in grado di rallentare la perdita cognitiva attraverso fenomeni neurobiologici specifici. Dunque la religione e la spiritualità non solo non sono fenomeni patologici, come molti incauti psicologi ancora oggi tendono ad affermare, ma costituiscono persino un fattore protettivo per la salute in generale e per quella mentale in particolare. In effetti è da circa due decenni che si vanno accumulando prove in questo senso. Nel 1999 Hummer dimostrò che coloro che frequentano le funzioni religiose almeno una volta alla settimana hanno una aspettativa di vita di 7 anni maggiore e nel 2003 Powel rese noto che coloro che frequentano regolarmente attività religiose hanno una riduzione della mortalità del 25%. Sostanzialmente, al di là dei dettagli, possiamo affermare che in 20 anni di ricerche è stato ampiamente dimostrato che la religiosità è un fattore protettivo per molte malattie, fisiche e mentali. E’ come se le dimensioni religiose e spirituali fossero “proprie” del cervello e della mente umana e perciò insopprimibili: la loro inibizione avrebbe un prezzo per la salute mentale e fisica, mentre al contrario la loro attivazione sarebbe indicativa di un buon funzionamento cerebrale e mentale e pertanto benefica per la salute. E peraltro alcune recenti osservazioni di neuroimaging sembrano confermare questa suggestiva interpretazione, con buona pace di ogni tentativo di patologizzare l’irriducibile bisogno religioso dell’uomo di ogni tempo.

Fonte: Avvenire del 27 gennaio 2010