Sentimento, la civiltà contro la tecnocrazia

Fonte: Romasette.it del 13/03/2015


Pubblicato il 13/03/2015

«La facilità di esprimere un sentimento è solo apparente anche perché c’è qualcosa di misterioso nella sua stessa nascita». Monsignor Gerardo Antonazzo, presidente della Commissione regionale per l’Ecumenismo e il dialogo, spiega il tema scelto (“L’elogio del sentimento. La visione ebraica e cristiana”) per l’incontro annuale delle diocesi del Lazio, tenutosi a Cassino ieri, giovedì 12 marzo. «Il sentimento è un beneficio di civiltà contro la tecnocrazia di un mondo abitato da estranei. Ecco perché – avverte – è necessario un processo di rieducazione al sentimento che porterebbe con sé anche la riedificazione del tessuto sociale». «Ci piace immaginare un Dio angelicato, così non dobbiamo imitarlo – aggiunge monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino -. Invece no. Dio ha sentimenti umani». Tra questi «c’è la compassione, certamente, ma anche la capacità di piangere, di gioire e di adirarsi – cosa che nell’Antico Testamento accade molte volte – perché Dio non è indifferente alle ingiustizie. Non dimentichiamolo: il male è una domanda e richiede una risposta, una reazione indignata».


E di sentimenti, che vanno distinti dalle emozioni, soprattutto nell’era digitale, parla anche lo psichiatra e scrittore Vittorino Andreoli: «L’emozione è una risposta acuta dinanzi a uno stimolo: se vedo una macchia di sangue ho una reazione che persiste fino a quando quello stimolo c’è. Il sentimento invece è un legame che ha bisogno di essere innanzitutto attivato e poi continuato: è insomma una funzione che si arricchisce e che muta con il tempo. La vita digitale, cioè l’insieme delle relazioni e dei rapporti che si hanno con le tecnologie informatiche possono allora dare emozioni ma non stabiliscono i sentimenti, che sono invece priorità della vita umana».


Gli adolescenti sono esposti, più di altri, ai pericoli che si annidano nell’universo “internettiano”. Saper discernere il reale dal virtuale richiede una figura accanto che faccia da guida perché, come denuncia il pastore valdese Eugenio Bernardini, «l’analfabetismo emotivo rende manipolabili». Andreoli, che ricorda come “educare” voglia dire «insegnare a vivere», sottolinea «l’impossibilità di cliccare sul pulsante di spegnimento, come invece si fa con i social network, quando qualcosa non piace. Nei rapporti umani non funziona così». È bene anzi, ricorda lo psichiatra, prendere coscienza dei propri limiti: «L’uomo è fragile e chi non sente di avere limiti semplicemente non è un uomo e, comunque, la fragilità non va confusa con la debolezza». È invece «un concetto prezioso, lo stesso su cui si fonda la solidarietà che comporta una condivisione basata sul riconoscimento delle fragilità e dei bisogni altrui».


Un po’ come avviene con la misericordia, spiega Benedetto Carucci Viterbi, preside delle scuole ebraiche di Roma, concetto che deriva dalla parola “rehem”, “utero”, a significare «la capacità di accogliere in sé la vita e la sofferenza di un altro». Solidarietà che fa il paio «con l’amicalità», laddove “amico” (“yedid”) deriva dal termine “mano” (“yud”), anzi dal suo raddoppio: “mano nella mano”, una delle più concrete forme d’intimità. L’interrogativo retorico è se sia possibile tenersi per mano in una società, invece, «tecnoliquida», secondo la definizione che ne dà Tonino Cantelmi, docente di Cyberpsicologia alla Lumsa. «La virtualizzazione della realtà – chiarisce Cantelmi – intercetta ed esalta alcune caratteristiche dell’uomo liquido: il narcisismo, la velocità, l’ambiguità, la ricerca di emozioni e il bisogno di infinite relazioni superficiali». Le stesse relazioni tra uomo e donna sono «tecnomediate», per cui si costruisce un legame «su sms, chat, post in bacheca» e allo stesso modo, e con gli stessi strumenti si pone fine ad una relazione che mostra, sui titoli di coda, tutta la sua povertà.

Fonte Romasette.it

http://www.agenziastampamolise.it/source/articolo/stampa.asp?art=1695